L’ostinazione nel portare il progetto del Tav, treno ad alta velocità e l’accanimento repressivo contro il movimento popolare No Tav, spesso va oltre la comprensione collettiva.
Un progetto di cui è emersa sotto più aspetti l’insensatezza economica – oltre che la devastazione ambientale – vede però gli apparati repressivi procedere con una brutalità contro gli oppositori al Tav che lascia sgomenti e indignati.
In questi anni in molti ci siamo chiesti a cosa servisse un collegamento ferroviario dalla Francia (all’origine era da Lisbona) fino a Kiev. E in più di qualche occasione ne è emersa sia la disfunzionalità sia il costo, fattori che da soli avrebbero posto fine a qualsiasi progetto infrastrutturale con queste caratteristiche.
Eppure assistiamo ad una volontà di procedere che non ammette resistenze, anzi che cerca di piegarle con la forza e con una logica di occupazione militare del territorio che ha un sapore più militare che civile.
Ma sta anche emergendo molto chiaramente come il Tav abbia molto a che vedere anche con le priorità che si sono dati gli Usa e la Nato in Europa. Tanto è vero che nel 2016 NATO e UE hanno siglato accordi specifici per affrontare il tema.
La mobilità delle forze armate della Nato sul territorio europeo è diventata una priorità strategica. In questo quadro si capisce allora l’ostinazione sulla possibilità di spostare rapidamente le truppe “da Lisbona a Kiev”.
Un documento europeo sulla mobilità militare spiega questa accelerazione e il cambio di passo.
Da un altro documento di Bruxelles, emerge come l’Unione Europea finanzi annualmente con miliardi di euro progetti infrastrutturali dei paesi membri. Si è infatti impegnata ad aggiungere gli standard della NATO nelle specifiche progettuali dei collegamenti ferroviari, stanziando 6.5 miliardi di euro da spendere in sette esercizi finanziari, a partire da quest’anno, per far sì che le infrastrutture strategiche europee siano conformi ai requisiti militari.
La questione è talmente importante che gli stessi Stati Uniti sono scesi direttamente in campo chiedendo all’Unione Europea di far parte del Military Mobility Project, uno dei 47 progetti di cooperazione di prevista attuazione nell’ambito della Permanent Structured Cooperation (PESCO) ossia la politica europea di difesa e sicurezza.
Stefano Sannino, segretario generale del “Servizio Europeo per l’azione esterna”, si è detto “molto soddisfatto” dell’iniziativa del Pentagono di partecipare a un programma di cooperazione strutturata permanente sulla mobilità militare. “Suppongo, e spero, che funzioni bene“, ha detto Sannino, aggiungendo che Bruxelles “dedicherà energia e attenzione” alla verifica dell’applicazione.
La richiesta degli Stati Uniti, insieme a quelle simili da parte del Canada e della Norvegia, segnala la prima volta che un membro non UE ha tentato di cercare un ruolo in uno dei 47 progetti di cooperazione nel campo della difesa del blocco. Le iniziative sotto la bandiera della PESCO hanno principalmente lo scopo di razionalizzare le capacità tra gli Stati membri, ma possono essere concesse eccezioni per ammettere gli estranei.
I funzionari su entrambe le sponde dell’Atlantico vedono la partecipazione degli Stati Uniti all’iniziativa di mobilità militare come una prova per la futura cooperazione ai sensi delle norme dell’UE. Ciò è in parte dovuto al fatto che tutti gli Stati membri interessati sono rappresentati in tale sforzo, guidato dai Paesi Bassi, esponendo così tutti alla decisione.
Inoltre, il tema della mobilità militare riguarda in gran parte il processo decisionale politico e le dispute burocratiche piuttosto che collaborare per la spesa di nuove armi, che è un argomento più soggetto a conflitti in Europa.
“Siamo all’inizio“, ha detto Sannino in un evento online del 12 marzo ospitato dal Consiglio europeo per le relazioni estere, riferendosi allo stato delle discussioni. Ha inquadrato la richiesta di Washington come un’opportunità per mettere in atto una “volontà politica” nei confronti di una relazione di difesa USA-UE.
Si spiegano così molte cose, incluso l’accanimento repressivo contro la resistenza popolare No Tav in Val di Susa. Ma si spiega anche il senso di questa ridefinizione delle strategie della Nato che punta a rimuovere l’idea che le “guerre siano impossibili” a causa delle armi nucleari.
Le guerre tornano ad essere possibili come strumento delle relazioni internazionali anche sul territorio europeo, giochi di potenza nella loro forma ibrida, appunto. Combattute con ogni mezzo militare e non militare con l’obiettivo di distruggere le infrastrutture, ma anche la capacità di persuasione o egemonia del nemico.
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